Perché il limite è 1,5 gradi? Ce lo spiega Johan Rockström
Tutto gira intorno al limite di 1,5 gradi. Tutti gli incontri e tutti i confronti che stanno avendo luogo in questi giorni a Glasgow sono tesi a limitare il surriscaldamento globale, così da frenare e contenere i cambiamenti climatici.
E, come sappiamo, a partire dalla COP21, e quindi dai famosi Accordi di Parigi, il limite che ci si è posti è quello di impegnarsi per tenersi abbondantemente al di sotto all’aumento di 2 gradi centigradi di aumento delle temperature medie globali rispetto all’epoca preindustriale.
Più precisamente, hanno sottolineato da più parti gli esperti climatici, il limite da non oltrepassare è di 1,5 gradi, ed è per l’appunto questa la soglia a partire dalla quale partono tutti i ragionamento che si stanno facendo alla COP26, in Scozia.
Pur sapendo, va detto, che già un surriscaldamento complessivo di 1,5 gradi avrà delle conseguenze gravi e irreversibili. A ricordarlo in questi giorni è stata l‘Agenzia per l’ambiente dell’Onu.
E spaventa un po’ il fatto che, poche ore dopo questa affermazione, i funzionari dell’Unione Europea abbiano dichiarato che, con una buona strategia, si dovrebbe riuscire a contenere il riscaldamento globale entro 1,9 gradi da qui alla fine del secolo. Ma perché il limite è proprio di 1,5 gradi?
Ecco perché il limite è 1,5 gradi? La spiegazione di Johan Rockström
Johan Rockström è il direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, ed è uno degli scienziati climatici più conosciuti a livello mondiale. Intervistato in questi giorni dal Guardian, Rockström ha voluto sottolineare che il target di 1,5° non è affatto qualcosa di paragonabile agli obiettivi delle altre negoziazioni politiche, e che non ci sono compromessi da cercare o da fare.
«Una crescita di 1,5 gradi non è un numero arbitrario, non è un numero politico. È un “planetary boundary”» ovvero uno di quelli che Rockström chiama “confini planetari”. Vedremo tra poco di cosa si tratta. Permettere un aumento delle temperature al di là di questa soglia significherebbe incrementare in modo irreversibile il rischio di cambiamenti climatici. Al di là di questo limite, per esempio, si andrebbe incontro alla perdita del ghiaccio estivo nell’Artico. Il venire meno del ghiaccio riflettente incrementerebbe il calore assorbito dall’acqua, con un’ulteriore balzo in avanti delle temperature globali. E ancora, i ghiacci delle Groenlandia si scioglierebbero, alzando il livello dei mari; l’aumento delle temperature oltre gli 1,5 gradi muterebbe la Corrente del Golfo, causando degli enormi disastri per l’agricoltura, per la biodiversità, e così via. Ogni decimo di grado in più potrebbe cambiare diametralmente il destino del pianeta.
I planetary boundaries
Cosa sono i planetary boundaries? In sintesi si tratta dei limiti che regolano la vita sul nostro pianeta. Più nello specifico ne sono stati individuati 9, ovvero il cambiamento climatico, ma anche l’acidificazione degli oceani, lo sfruttamento del suolo, il ciclo dell’acqua, il ciclo dei nutrienti inquinamento chimico, gli aerosol atmosferici lo strato di ozono e infine la biodiversità. Si tratta ovviamente di limiti interconnessi: al venir meno di un limite si scatena una crisi che coinvolge anche tutti gli altri. Oltre all’individuazione dei 9 planetary boundaries, si è andati oltre, definendo per ognuno tre livelli di sicurezza, ovvero una zona sicura, una zona di incertezza e la zona oltre l’incertezza. Ebbene, dati alla mano gli esperti ci dicono che abbiamo già sorpassato la zona sicura in 4 diversi limiti.
Per quanto riguarda il cambiamento climatico, ci troviamo a metà della cosiddetta “zona gialla”, di incertezza. Nel momento in cui l’aumento di temperatura supererà la media preindustriale di 1,5 gradi, entreremo nella “zona rossa”, con i mutamenti che abbiamo visto sopra. Ecco perché il limite è 1,5 gradi, e perché non dovrebbero esistere piani che non contemplino di rispettare questa soglia.
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