Sostenibilità alimentare e grandi multinazionali, quando gli interessi economici minano la salute
L’alimentazione è vitale, è parte integrante della cultura e svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo economico di un Paese. Ma il cibo prodotto e consumato impatta significativamente sull’ambiente, attraverso la catena di approvvigionamento, l’uso delle risorse, le emissioni di gas serra e l’utilizzo di prodotti chimici come pesticidi e diserbanti. La domanda che ci si pone è se sia veramente possibile raggiungere la sostenibilità alimentare. Un numero crescente di analisi, infatti, mostra come gli attuali trend siano tutt’altro che sostenibili. Secondo uno studio pubblicato dal Comitato permanente per la ricerca in agricoltura (Standing Committee Agriculture research – SCAR), organo consultivo presso la Direzione generale Ricerca e Innovazione della Commissione europea:
“Molti dei moderni sistemi di produzione alimentare compromettono la capacità della Terra di produrre cibo in futuro. A livello globale, e in molte regioni, inclusa l’Europa, la produzione alimentare sta superando i limiti ambientali o è vicina a farlo. La sintesi di azoto supera di quattro volte il limite possibile e l’uso di fosforo ha raggiunto questo limite. Cambiamenti nell’uso del suolo e degrado del suolo, e la dipendenza dall’energia fossile contribuisce a circa un quarto delle emissioni di gas serra. L’agricoltura, inclusa la pesca, è tra le cause principali di perdita di biodiversità. A livello regionale, l’acqua estratta dall’irrigazione non ne permette la reintegrazione della stessa”.
I cambiamenti climatici e l’aumento di eventi meteorologici estremi, la mancanza di adattamento e mitigazione, l’incapacità di programmare strategie a lungo termine minano la strada verso la sostenibilità alimentare e rendono il cibo inacessibile a tutti. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) in uno studio del 2016 ha stimato che circa 795 milioni di persone su 7,3 miliardi di persone nel mondo, o una su nove, abbiano patito una denutrizione cronica tra il 2014 e il 2016. Di questi, 780 milioni, vivono nei paesi in via di sviluppo, rappresentando il 12,9% della popolazione. Non che non ce ne sia abbastanza di cibo, anzi. Viene prodotto in quantità ma è mal distribuito e spesso, per gli strati sociali più bassi, non accessibile. Il recente rapporto Oxfam presentato al World Economic Forum di Davos ha messo nero su bianco un dato allarmante: 42 persone detengono da sole quanto i 3,7 miliardi di esseri umani più poveri. Per questo, la FAO definisce quattro punti chiave che devono essere soddisfatti contemporaneamente per garantire la sicurezza alimentare: disponibilità fisica del cibo, accesso economico e fisico al cibo, utilizzo del cibo e stabilità nel tempo.
Ma cosa si intende con sostenibilità alimentare?
La sostenibilità alimentare è un concetto ampio che abbraccia diversi aspetti economici, sociali e ambientali. Per riassumerlo, Slow Food Italia ha affermato che il cibo per essere sostenibile deve essere buono, pulito e giusto:
- “Buono” richiede rispetto per gli altri e per noi stessi e recupero della sensorialità.
- “Pulito” si lega all’impatto negativo sulla biodiversità, alle tecniche agricole che impoveriscono il suolo, allo spreco di risorse, all’utilizzo di prodotti chimici e all’inquinamento in riferimento all’energia e alle emissioni.
- “Giusto” infine definisce la giustizia sociale e riconosce il valore del lavoro, delle competenze, dei ruoli e dei salari associati.
Ogni fase della produzione e del consumo deve mirare alla salvaguardia della salute e alla protezione degli ecosistemi e della biodiversità.
E le multinazionali?
Ciò che accomuna tutte le tendenze è trasformare le scelte salutari combinandole con l’impatto ambientale e l’educazione alimentare. La disponibilità di cibo pro capite è aumentata, ma si mangia tanto e male. Sempre secondo il rapporto SCAR, la dieta media occidentale con elevate assunzioni di carne, grassi e zuccheri rappresenta un rischio per la salute individuale e minaccia la stessa sopravvivenza sul pianeta. L’obesità, il diabete di tipo 2, l’ipertensione, l’artrosi e il cancro sono malattie diffuse legate all’alimentazione. Prima della sostenibilità alimentare c’è infatti il profitto, il quale non è sempre in linea con il benessere della popolazione. In una recente intervista al Guardian Dan Parker, direttore della comunicazione che si guadagnava da vivere promuovendo Coca Cola e McDonalds, ha dichiarato che le multinazionali sanno perfettamente cosa fa bene e cosa no, ma non gli interessa.
“I prezzi per le barrette di cioccolato monoporzione, ad esempio, sono aumentati” ha detto al Guardian. “E la risposta dei consumatori è stata quella di acquistare la barretta più grande per un miglior rapporto qualità-prezzo. L’industria ha così spinto il pacco famiglia come qualcosa che una persona può mangiare da sola”.
Non è facile cambiare questo trend: gli interessi economici sono esageratamente elevati. E questo conferma ancora una volta come per il raggiungimento di una sostenibilità alimentare reale sia necessario l’impegno di tutti: governi, lobby, produttori e consumatori.
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