Fermare la deforestazione, dati e strategie dall’ultimo rapporto FAO
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ha acceso il campanello d’allarme sulle strategie da applicare nei prossimi anni per guidare il Pianeta e le parti interessate verso un percorso sostenibile, capace di adattarsi alle nuove condizioni, mitigare gli effetti del cambiamento climatico e agire con resilienza alle situazioni future. Con 17 Obiettivi e una lista di target associati, questo ambizioso piano di azione ha evidenziato la necessità di integrare diversi settori affinché la transizione energetica, industriale e gestionale risulti effettiva. In particolare riconosce l’importanza di trattare le risorse naturali, l’alimentazione e l’agricoltura in un unico capitolo, come indicato negli Obiettivi 2 (porre fine alla fame nel mondo), 12 (consumi sostenibili) e 15 (tutela della biodiversità). In questo contesto, le foreste hanno un ruolo chiave perché mettono attorno lo stesso tavolo la povertà, la protezione delle risorse idriche, l’accesso all’energia sostenibile, la lotta al cambiamento climatico e il settore agricolo-industriale. Fermare la deforestazione è un grido acuto e inascoltato che è diventato però, ora più che mai, un traguardo a cui presentarsi preparati.
Fermare la deforestazione non è più un’opzione da valutare
Uno studio su Science Advances all’inizio del 2017 ha messo nero su bianco che tra il 2000 e il 2013 la superficie delle foreste incontaminate è diminuita del 7,2% a livello mondiale. La ricerca parla di “intact forest landscape (IFL)”, con cui intende zone che non mostrano alcun segno di attività umana e in grado di mantenere la diversità biologica nativa, termine che include a sua volta il concetto di “foresta primaria” definita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO). Nel 2000, sono state trovate le IFL in 65 paesi, di cui i due terzi in Russia, Brasile e Canada, seguiti dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Perù, dagli Stati Uniti (principalmente l’Alaska), dall’Indonesia, dalla Colombia e dal Venezuela. Dopo 13 anni, la riduzione delle foreste nei primi tre paesi ha toccato il 52%, e se la perdita di IFL dovesse continuare al tasso medio verificatosi tra il 2000 e il 2013, Paraguay, Laos, Cambogia e Guinea Equatoriale perderebbero la loro intera area IFL nei prossimi 20 anni. Entro 60 anni, altri 15 paesi, tra cui nazioni ricche di IFL come Repubblica del Congo, Gabon, Camerun, Bolivia e Myanmar, perderebbero tutte queste zone.
Ma gli studi non si limitano a questo. Anche secondo i dati dell’Università del Maryland pubblicati su Global Forest Watch, fermare la deforestazione non è più un’opzione, ma una necessità. Nel 2016, la riduzione delle foreste ha raggiunto il record di 29,7 milioni di ettari, il 15% in più dell’anno precedente. Come se si fosse persa in un solo momento tutta una Nuova Zelanda coperta di alberi. In paesi come la Cambogia, tra il 2001 e il 2014, il tasso annuo di perdita di foreste è aumentato del 14,4%. In altre parole, il paese asiatico ha perso un totale di 1,44 milioni di ettari di foresta. Altri paesi con tassi di perdita forestale più elevati sono Sierra Leone (12,6%), Madagascar (8,3%), Uruguay (8,1%) e Paraguay (7,7%). In Brasile in un solo anno, tra Agosto 2016 e Luglio 2017, sono andati persi 6624 chilometri quadrati di foresta amazzonica. Più o meno pari a 112 Manhattan. Nonostante le dichiarazioni e gli sforzi nel fermare la deforestazione, il governo è stato anche inefficace nel reprimere la violenza contro i sostenitori della riforma dei diritti ambientali, delle popolazioni indigene e dei diritti fondiari. Più di 60 attivisti sono stati uccisi nei primi 10 mesi del 2017. Un ritmo che non è più sostenibile, sia in termini ambientali che umani.
Le cause della deforestazione
Oltre a garantire cibo, energia e stabilità economica, le foreste sono indispensabili per il terreno e il clima e, se integrate con giudizio con il settore agricolo, ne possono aumentare la produttività. Tuttavia, tra le cause principali della deforestazione nelle regioni tropicali e subtropicali con il 40% figura proprio l’agricoltura, in particolare quella industriale su larga scala, seguita dalle colture alimentari locali, le infrastrutture, l’espansione urbana e l’industria mineraria. A confermarlo è l’ultimo Rapporto sullo stato delle foreste nel mondo della FAO, secondo il quale tra il 2000 e il 2010 nei paesi tropicali c’è stata una perdita netta annuale di foreste pari a 7 milioni di ettari e un incremento nella superficie di campi coltivati più o meno della stessa portata. La perdita più massiccia si è verificata nei paesi a basso reddito dove la popolazione rurale è aumentata progressivamente. Lo studio mostra come in alcuni paesi la percentuale di foresta sia diminuita a discapito delle aree coltivate, ma elenca anche 15 esempi virtuosi di nazioni che sono riuscite ad aumentare la porzione di terreni agricoli e di zone forestali.
Quali sono le strategie per fermare la deforestazione?
Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS ha dimostrato come investire nelle soluzioni climatiche naturali coprirebbe il 37% delle azioni di mitigazione necessarie per mantenere il riscaldamento climatico entro i due gradi, senza bisogno di ulteriori strategie. Tra queste, spicca la necessità di fermare la deforestazione. Per raggiungere questo scopo la Tropical Forest Alliance 2020 (TFA 2020), un’istituzione finanziata da Paesi Bassi, Norvegia e Regno Unito che riunisce governi, organizzazioni del settore privato e della società civile, ha suggerito un piano integrato per fermare la deforestazione legata alla produzione di materie prime come l’olio di palma, la carne di manzo, la soia e la polpa e la carta. Secondo la FAO infatti, solo una pianificazione integrata dell’uso del territorio fornirebbe un risultato ottimale atto a bilanciare gli utilizzi del suolo a livello nazionale, subnazionale e paesaggistico. E per questo è auspicabile una significativa partecipazione delle parti interessate per garantire la legittimità di ogni azione.
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