Cibo bio: l’agricoltura biologica potrebbe nutrire il Pianeta?
I consumi di cibo bio sono aumentati esponenzialmente negli ultimi anni. Se questa sia una semplice moda del momento o la conferma della nascita di una coscienza alimentare e ambientale, sarà soltanto il tempo a dirlo.
Cio bio, un trend in crescita
Per il momento si ragiona sui fatti, e i numeri dicono che il biologico è un trend in forte crescita, destinato ad aumentare ulteriormente. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto di ricerca di agricoltura bio FiBL e dell’AMI – Agricultural Market Information in Europa il mercato del bio è aumentato nel 2015 del 13%, raggiungendo un fatturato di quasi 30 mld di euro. Con Germania in testa, seguita da Francia, Regno Unito e Italia. Dati più aggiornati arriveranno con l’edizione 2018 ma le proiezioni parlano di una crescita a due cifre un po’ ovunque.
I numeri dell’agricoltura biologica in Italia
Anche in Italia il cibo bio non se la passa male. Ma nel nostro paese il vero trend in crescita è quello dell’agricoltura biologica, date le condizioni climatiche più che favorevoli rispetto a molti altri paesi. Nel 2016, secondo alcuni dati, si parla di un balzo del 20% rispetto all’anno precedente, con ben 300mila ettari di terreno convertiti alla coltivazione sostenibile.
Il cibo bio può sfamare una popolazione in forte crescita?
I numeri italiani rispecchiano una tendenza che si sta imponendo un po’ in tutto il mondo e che sta portando a riflettere sulla reale possibilità che l’agricoltura biologica diventi un’alternativa alla coltivazione tradizionale. Davanti agli scenari che ci parlano di una popolazione mondiale che entro il 2050 supererà i 9 miliardi di persone, possiamo pensare all’agricoltura bio come un mezzo efficiente per sfamare tutti?
Cos’è l’agricoltura biologica?
Innanzitutto val la pena ricordare cosa si intende per agricoltura biologica. Parliamo in primo luogo di un metodo di coltivazione che rinuncia all’uso di composti chimici come concimi, insetticidi e diserbanti ma si serve esclusivamente di prodotti organici per fertilizzare il terreno o contrastare parassiti. Vi è poi una generale attenzione alla riduzione degli sprechi energetici ed idrici ma soprattutto fare agricoltura biologica significa non applicare tecniche di coltivazione intensiva ma prediligere la rotazione delle colture per favorire i cicli naturali dei nutrienti.
I risultati di uno studio svizzero
E’ chiaro che questo approccio comporta una netta riduzione delle emissioni di gas serra e quindi una serie di vantaggi a livello ambientale. Ma è possibile sostenere soltanto con il cibo bio una richiesta alimentare che probabilmente aumenterà nei prossimi anni? Secondo uno studio a firma del professore Adrian Muller del Research Institute of Organic Agriculture (FiBL) di Frick, in Svizzera, recentemente pubblicato dalla rivista Nature Communications, sì. A patto che vengano messi in atto alcuni cambiamenti.
Lo studio è partito da una simulazione tenendo conto alcuni scenari climatici e le proiezioni elaborate dalle Nazioni Unite in merito all’aumento demografico previsto per il 2050.
Cibo bio ma con un aumento del consumo di suolo
Secondo i risultati ottenuti, se l’agricoltura biologica dovesse soppiantare totalmente quella tradizionale, per soddisfare il fabbisogno alimentare mondiale, l’estensione dei terreni coltivati dovrebbe aumentare tra il 16% e il 33%, perché ad ogni modo le coltivazioni bio hanno un minor rendimento e necessitano quindi di maggiore suolo per garantire la stessa produzione ottenuta con tecniche intensive.
La proporzione perfetta: 60% agricoltura bio e 40% tradizionale
Per limitare questo consumo di suolo agricolo, che avrebbe comunque un impatto non così positivo sull’ambiente, la soluzione ideale sarebbe una ripartizione: 60% agricoltura biologica e 40% agricoltura tradizionale. Ma anche questo non sarebbe sufficiente. Secondo lo studioso si dovrebbero contestualmente ridurre gli sprechi di cibo e convertire la metà dei terreni utilizzati per produrre mangimi per animali d’allevamento in terreni coltivati per l’uomo. Questo significa chiaramente modificare le abitudini alimentari: il consumo di carne dovrebbe scendere dal 38% all’11%.
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