La rigenerazione delle foreste islandesi, dopo il massacro dei vichinghi
Oggi si parla con una certa urgenza della rigenerazione delle foreste islandesi. Eppure, un tempo, questa isola del nord poteva vantare una certa quantità di vegetazione, ben lontana dall’aspetto totalmente brullo che possiamo vedere oggi. Nel nono secolo, però, l’Islanda fu colonizzata dai vichinghi, i quali rasero al suolo praticamente tutte le foreste: crearono pascoli, coltivarono orzo, usarono il legname per costruire le loro case e per alimentare le loro forge. Insomma, in circa tre secoli di colonizzazione, l’isola rimase di fatto senza foreste. Con un clima simile, infatti, la rigenerazione delle foreste islandesi non è certo facile, ed è resa ancora più difficile dalla presenza dei vulcani e di un vasto strato di cenere che ricopre il terreno. E queste ceneri, pur essendo ricche di nutrienti, hanno creato un suolo incapace di trattenere l’acqua. Il risultato è un enorme terreno deserto. Va sottolineato che la desertificazione islandese è diversa da quella che siamo soliti vedere, dovuta dall’aridità e dal calore. No, qui – come è noto – non è affatto caldo, e le precipitazioni sono abbondanti. È un ‘deserto bagnato‘, o almeno così hanno iniziato a chiamarlo gli studiosi negli ultimi anni.
La rigenerazione delle foreste islandesi
Negli ultimi anni, per dare corpo alla rigenerazione delle foreste islandesi, sono stati piantati circa tre milioni di alberi. Una cifra enorme, un lavoro immenso, ma di certo un nonnulla in un territorio così vasto, che resta ancora spoglio per circa il 99% della sua superficie. E dire che ci sono tantissimi volontari all’opera, ognuno armato di tanti piccoli alberelli da piantare in queste zone brulle e desolanti. Ogni loro mossa, però, ha la valenza di una goccia nell’oceano.
Gli obiettivi islandesi in fatto di emissioni
È del resto da evidenziare che proprio la particolarità del suolo islandese, la sua mancanza quasi totale di alberi, il suo terreno coperto da cenere, le sue rocce vulcaniche e gli stessi vulcani richiamano ogni anno tantissimi turisti. Ogni anno l’Islanda attira infatti circa 1,8 milioni di visitatori. Ciò che richiama il turismo può però mettere a dura prova questa nazione, dove l’agricoltura e l’allevamento, soprattutto in certe zone, sono attività completamente impossibili, anche grazie al vento fortissimo e alle minacciose tempeste di sabbia che affliggono quest’isola. Ovviamente, poi, la mancanza endemica di alberi è un grosso problema che rende ancora più difficile, nel caso dell’Islanda, il processo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Non potendo contare sull’effetto delle foreste, infatti, per l’Islanda sarà una vera e propria impresa raggiungere l’obiettivo della riduzione del 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. E dire che il governo islandese ha alzato ancora di più l’asticella, puntando ad una riduzione del 75% delle emissioni nocive entro il 2050. Per questo, dunque, la rigenerazione delle foreste islandesi è sentita sempre di più come un’urgente necessità, sommando a tutto questo il fatto che una massa sufficiente di alberi potrebbe aiutare gli agricoltori a limitare i danni delle tempeste di sabbia.
Le pericolose tempeste di sabbia
Come sottolinea infatti Gudmundur Halldorsson, coordinatore delle ricerche presso il Soil Conservation Service, «piantare alberi è un contributo importante per mitigare gli eventi meteorologici estremi in Islanda». É da sottolineare che la sede della Soil Conservation Service è stata posta non a caso a Gunnarsholt, ad un centinaio di chilometri da Reykjavik, in una fattoria che nel 1882 fu messa in ginocchio da una terribile tempesta di sabbia che sconvolse tutta l’area ad est della capitale. La fattoria e tutto quello che la attorniava fu sepolto dalla sabbia, centinaia di pecore morirono, la vegetazione scomparve e un lago vicino venne completamente riempito dalla polvere. «Semplicemente , qualsiasi cosa fu distrutta dalla tempesta» spiega Halldorsson, aggiungendo che «la gente non riesce a capire che si può perdere qualcosa come tutto questo in un tempo brevissimo». Il Soil Conservation Service ha iniziato a lavorare in questa area fin dagli anni Venti, usando questa fattoria come laboratorio all’aria aperta per studiare i migliori e più efficaci metodi per incentivare la rigenerazione delle foreste islandesi. Per rinforzare il suolo, qui, i ricercatori partono dapprima con l’erba, che cresce velocemente stabilizzando il terreno. Poi passano ai lupini, e infine agli alberi.
Abeti, pioppi e betulle
Prima di coltivare con degli alberi una determinata zona destinata a contribuire alla rigenerazione delle foreste islandesi, i ricercatori valutano il suolo, così da capire quale vegetazione cresceva lì un tempo. Come spiega Jon Ageir Jonsson della Icelandic Forestry Association, ci sono molte piante idonee allo scopo, quali betulle, abeti, pini, larice russo… «ci piacerebbe piantare dei pioppi, ma alle pecore quelli piacciono davvero troppo». Il problema è che in Islanda tutto quanto cresce piano: in una foresta nei pressi di Isafjordur, piantata negli anni Quaranta, gli abeti hanno raggiunto appena i 15 metri di altezza, laddove nel sud est dell’Alaska, per esempio, le piante avrebbero già raggiunto tre volte quell’altezza.
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