Agricoltura industriale non sostenibile, le risorse sono finite
Agricoltura industriale non sostenibile: dai media viene trattata, se viene trattata, come un problema minore, ma lo sfruttamento intensivo della terra è tra i fattori che stanno influenzando il velocissimo degrado climatico, ambientale e sociale che negli ultimi decenni sta colpendo indiscriminatamente ogni stato del globo.
Potrebbe suonare come un paradosso, ma l’attività agricola che fornisce il cibo per la nostra sopravvivenza è proprio uno dei fattori che ci sta portando verso la strada del non ritorno.
Agricoltura industriale non sostenibile, di cosa si tratta?
Questo tipo di strategia agricola è principalmente mono-colturale e utilizza solo sementi selezionate, geneticamente omogenee, irrorate sistematicamente con diserbanti e pesticidi. Ogni anno il terreno viene sfruttato a ritmi insostenibili e portato quindi velocemente all’improduttività. Meno il terreno è produttivo più i contadini ricorrono a sostanze chimiche e, in alcuni casi, a sementi ogm ritenute più resistenti.
I modi di dire dei nonni insegnano: i fuochi alti e potenti bruciano per poco, e così è per l’agricoltura intensiva; l’ONU ha lanciato infatti un allarme a dir poco inquietante: l’agricoltura così come viene praticata oggi ci lascia solo 60 anni di raccolti. Poi il definitivo collasso del sistema.
Nel 2017 è uscito il rapporto di Global Land Outlook, rapporto che vuole portare all’attenzione globale sia il rischio di desertificazione di alcune zone della Terra che il livello di degrado dei terreni sottoposti all’ agricoltura industriale non sostenibile. L’organizzazione ha analizzato dal punto di vista scientifico la perdita di terreno sano e produttivo nel mondo evidenziando come la produttività agricola sia già diminuita del 20%.
Un indicatore ambientale fondamentale: la moria delle api
A causa dell’ agricoltura industriale non sostenibile la minaccia di estinzione di molti insetti è cresciuta del 40% secondo l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes).
Uno degli allarmi lanciati a più riprese nel corso degli ultimi anni è infatti quello riguardante la moria delle api, animali essenziali per la vita delle piante, dell’uomo e degli altri animali.
La profezia di Einstein “Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita” è ormai ritenuta dagli scienziati non tanto una profezia quanto una previsione del tutto realistica.
Questi piccoli e laboriosi insetti svolgono il fondamentale compito dell’impollinazione; da loro dipende la sopravvivenza e propagazione di più del 70% delle specie vegetali della Terra.
Un vero Armageddon ecologico, come lo ha definito George Monbiot.
L’Italia sta monitorando lo stato di salute delle sue api attraverso rilevazioni stagionali sul campo effettuate su circa 3.000 alveari. Durante lo studio sono stati analizzati i prodotti delle api, miele, cera, polline, e le api stesse per ricercare le cause della loro moria. Il risultato, purtroppo negativo, mette in stretta relazione il grado di salute delle api con la percentuale di terreno agricolo che si trova attorno agli alveari.
Negli alveari, nei prodotti, e nei corpi delle api sono state rilevate tracce di pesticidi, per lo più organofosfati, piretroidi e neonicotinoidi. Spesso gli effetti di questi prodotti sull’ambiente non vengono nemmeno esaminati prima della commercializzazione, ma ora grazie ai nuovi studi si sa che gli elementi ivi contenuti disorientano le api impedendo loro di tornare all’alveare e causandone in alcuni casi direttamente la morte.
La soluzione proposta dalla rivista Apitalia è dichiarare le api specie protetta in modo che vengano approvate leggi che tutelino l’animale imponendo di conseguenza regimi più rigidi rispetto alluso dei pesticidi.
Pesticidi e scelte alimentari dannose
Qualcuno potrebbe non essere infastidito dalla moria di insetti, ma bisogna pensare che se i pesticidi finiscono nel miele finiranno, come peraltro già dimostrato, anche negli alimenti che mangiamo tutti i giorni. Insomma, anche per gli umani una lenta ma costante intossicazione da sostanze chimiche.
Uno dei paradossi del mondo d’oggi è questo: non ci sono finanziamenti per comprendere ed arginare la moria di insetti utili, ma molti soldi vengono investiti per creare nuovi diserbanti e insetticidi.
Anche l’ONU ha preso una posizione ben precisa contro i prodotti chimici in agricoltura: l’Organizzazione ha infatti ammesso che non dipende dai pesticidi la buona riuscita dei raccolti e quindi la possibilità di nutrire un pianeta sovraffollato. Nature Plants ha pubblicato recentemente un articolo che dimostra come la produzione aumenti abolendo i pesticidi.
L’ agricoltura industriale non sostenibile è anche frutto delle scelte alimentari dei cittadini, basti pensare alle cultivar intensive usate esclusivamente per nutrire gli animali da carne. Gli ettari oggi così sfruttati potrebbero essere invece impiegati per la colza che andrebbe a sostituire i carburanti fossili che alimentano le automobili.
Qualcuno ha detto basta.
C’è però chi ha detto no a tutto questo e, in Italia, il Trentino Alto Adige vanta un vero primato: il paese di Malles, circondato dai meleti della Val Venosta, è il primo comune ad aver deciso democraticamente l’abolizione dei pesticidi nei campi. Ora il divieto è entrato nello statuto comunale e i trasgressori ricevono multe decisamente salate.
Un’altra zona del mondo, molto più lontana di Malles, ha abolito da oltre 10 anni i pesticidi: siamo ai piedi della catena dell’Himalaya, nello stato chiamato Sikkim. Il risultato? La loro produzione agricola è aumentata.
Altri sono però gli stati che stanno andando, anche se lentamente, verso un’agricoltura più sostenibile. In Francia nel 2018 entrerà in vigore una legge sulla salvaguardia della biodiversità e la proibizione dei neonicotinoidi.
Una soluzione equilibrata potrebbe essere l’agroecologia, ovvero un sistema agricolo basato su tecniche biologiche e biodinamiche realizzate usando energia pulita al cui centro c’è il lavoratore con la sua dignità e la salute del consumatore.
Il cambiamento dipende sicuramente dalle scelte che prederanno i governi, ma sicuramente un po’ del cambiamento necessario dipende dalle scelte di consumo che compiamo noi cittadini ogni giorno.
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