Disastri meteorologici: conseguenza del riscaldamento globale?
Dopo un’estate rovente il nostro paese è stato investito da un’ondata di maltempo che ha avuto tragiche conseguenze su edifici, coltivazioni e persone. Sono ormai un po’ di anni che assistiamo a tali repentini cambiamenti che spesso ci colgono impreparati. In modo decisamente più drammatico, il fenomeno dei disastri meteorologici ha flagellato il resto del mondo: pensiamo all’Uragano Harvey in Texas, a Irma in Florida e America centrale e al tifone Hato in Cina e Hong Kong. Quello che cercheremo di capire è se è possibile stabilire un collegamento fra l’imperversare di tali disastri naturali e i cambiamenti climatici prodotti dal riscaldamento globale.
L’influenza dell’effetto serra sui disastri meteorologici
È molto probabile che l’uomo sia responsabile, almeno in parte, di questi sconvolgenti disastri naturali ed il principale fattore scatenante è di certo l’aumento della concentrazione di CO2 nell’aria. Secondo uno studio della NASA, il livello di anidride carbonica presente al momento è il più alto riscontrabile negli ultimi 400.000 anni. In particolare, l’aumento si fa più significativo dal 1950 in poi, in concomitanza con una forte crescita demografica e l’esplosione industriale del dopoguerra. Tale quantità di CO2 nell’aria ha prodotto un aumento della temperatura significativo, dovuto all’effetto serra che intrappola il calore solare respinto dalla Terra. Il tutto è coinciso con una crescita del numero di disastri meteorologici, in particolare inondazioni, incendi e tempeste.
Disastri più frequenti per i paesi con livelli di CO2 più alti
Stati Uniti, Cina, Russia e India producono da soli più della metà delle emissioni globali di anidride carbonica. Sono Nazioni, in particolare la Cina, con un’immensa popolazione, una produzione industriale su larga scale e molte vetture in circolazione. È interessante notare che sono proprio i paesi maggiormente colpiti di recente dai peggiori disastri meteorologici e climatici. Ne è la prova un report dell’UNISDR (United Nations Office for Disaster Risk Reduction), secondo il quale India, Cina e Stati Uniti sono stati i più flagellati nel ventennio 1995-2015. Al contrario, gran parte dell’Europa e dell’Africa hanno subito lievi conseguenze in relazione a questi paesi.
Mai così tante alluvioni come negli ultimi 20 anni
Il riscaldamento globale con il conseguente scioglimento degli ghiacciai produce degli effetti importanti sulle acque degli oceani il cui livello è in crescita continua. Tutto questo potrebbe far aumentare la frequenza di alluvioni e inondazioni in maniera significativa, particolarmente nelle zone tropicali. Secondo uno studio dell’Università dell’Illinois, con un innalzamento del livello delle acque compreso fra 5 e 10 centimetri, assisteremmo ad un raddoppiamento del numero delle alluvioni. Oltre i 10 centimetri, le conseguenze sarebbero gravissime, specialmente per alcune grandi città costiere dell’America del Nord, come Los Angeles, San Francisco, Seattle e Vancouver. Un più elevato livello delle acque, oltre a tradursi in alluvioni e inondazioni, contribuisce anche ad alimentare tempeste ed uragani che non si limitano a colpire le zone costiere ma si spingono fino all’entroterra.
Conseguenze del riscaldamento globale: il caso dell’uragano Harvey
La rivista Scientific American si è interrogata in merito alle cause scatenanti dell’uragano che ha colpito di recente il Texas. La particolarità di questo fenomeno atmosferico è stata la rapidità con cui è cresciuto, passando in solo 8 ore da categoria 1 a categoria 4. Il meteorologo americano Jeff Masters, a cui è stato chiesto un parere in merito, ha risposto chiamando in causa la temperatura delle acque dell’oceano Atlantico come probabile spiegazione. Secondo Masters, la crescita vertiginosa di Harvey è strettamente legata all’innalzamento delle temperature marine che, nei giorni antecedenti il disastro, sono state più elevate di circa un grado rispetto alla media stagionale. La temperatura delle acque dell’oceano raggiungeva un livello addirittura superiore a quelle del Golfo del Messico, notoriamente più calde.
Un gigante che si autoalimenta
La quantità di pioggia che l’uragano ha riversato su un’ampia area intorno a Houston è stata davvero copiosa. Si è prodotto un fenomeno ciclico in cui l’uragano stesso ha fatto piovere acqua sul Texas creando di fatto un bacino caldo dal quale alimentarsi per produrre ulteriori precipitazioni. In pratica si è realizzato un prolungamento del Golfo del Messico che ha continuato a dare forza all’uragano anche nell’entroterra. Gli scienziati interpellati a tal riguardo non hanno saputo dare risposte certe. Non è possibile accertare per quanto tempo l’uragano riesca ad autoalimentarsi. L’unica cosa certa è la dinamica con cui riesce a farlo, elemento sufficiente a creare preoccupazione nella popolazione.
Se l’uragano Harvey è, come in molti pensano, una conseguenza diretta dei cambiamenti climatici, diventa urgente trovare un modo per evitare che disastri meteorologici del genere diventino la norma. Un enorme danno è già stato compiuto, solo una forte collaborazione fra le potenze mondiali può produrre accordi internazionali volti a limitare i cambiamenti climatici e le loro conseguenze devastanti.
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