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Biomimetica: quando l’architettura e il design imitano la natura

La natura è da sempre la principale fonte di ispirazione per gli studi scientifici. Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata”, sosteneva Albert Einstein e questa linea di pensiero è stata abbracciata ultimamente anche dai campi dell’architettura e del design. Comprendere i meccanismi di funzionamento degli organismi viventi applicandoli alle creazioni umane consente di sviluppare soluzioni che riescono non solo a limitare l’impatto ambientale di prodotti e sistemi ma anche di migliorarne prestazioni e reazioni in un’ottica di maggiore adattabilità. Lo studio e l’imitazione della natura sono stati resi possibili negli ultimi anni dalle evoluzioni tecnologiche sviluppate: linguaggi di programmazione e codificazione, modelling e stampa 3D consentono di riprodurre in modo fedele funzionamenti e strutture cellulari degli organismi così come i sistemi di organizzazione e di adattamento evolutivo tipici degli habitat naturali. È questo il campo in cui si muove la biomimetica, una scienza relativamente giovane che esprime il nesso fra biologia e tecnologia, dove la prima rappresenta il modello primordiale a cui tendere e la seconda il mezzo con cui riprodurne il funzionamento in materiali e strutture.

Biomimetica: si parte dalle piante

Uno dei principali guru della biomimetica è la statunitense Janine Benyus, fondatrice del Biomimicry 3.8 Institute di Missoula, nel Montana, un’organizzazione dedicata alla formazione e alla divulgazione del sapere biomimetico. Tra i prodotti storici nel campo della biomimetica c’è il velcro, nato imitando il ‘funzionamento delle lappole, frutti della Bardana, dotati di minuscoli uncini per attaccarsi ai tessuti. Mentre fra le soluzioni che sono state commercializzate negli ultimi anni va citata Lotusan, una pittura ‘autopulente’ realizzata riproducendo la caratteristica naturale che hanno le foglie della pianta di loto di pulirsi in modo autonomo.

velcro biomimetica

I lavori eclettici della designer Neri Oxman

Ma gli studi, soprattutto nel campo del design, si stanno spingendo molto oltre. Ne è un esempio la ricerca di Neri Oxman, eclettica designer israeliana e professoressa al MIT (Massachusetts Institute of Technology) Media Lab che ha sviluppato una serie di soluzioni innovative unendo biologia e tecnologia. Si va da tessuti organici che si adattano non solo alla forma del nostro corpo ma anche alla sua composizione fisiologica, realizzati, come la maggior parte dei lavori di Oxman, grazie a una stampante 3D che sfrutta l’innovativa tecnologia di Stratasys a triplo getto. La stessa usata per progettare ‘Gemini’, una chaise longue che, grazie una particolare forma a guscio e una  combinazione di 44 materiali digitali con diverse proprietà che riproducono i punti sensoriali del corpo umano, crea un habitat che rimanda al ventre materno.

Questi materiali, ha più volte spiegato la designer non solo indirizzano sul corpo specifici punti di pressione così da creare un paesaggio sensoriale, ma agiscono anche come una camera anecoica insonorizzata, come una struttura architettonica volta a calmare la mente”.

gemini biomimetica

Abiti organici per andare sullo spazio

Una delle creazioni per cui la designer si è guadagnata la notorietà è sicuramente la collezione ‘Wanderers: An Astrobiological Exploration”, che include quattro wearables, immaginati per essere incorporati nella materia vivente e per essere indossati nello spazio. Creati attraverso la biologia di sintesi, i capi incorporano tasche e apparati che possono ospitare materiali biologici e che creano dei micro-habitat che consentirebbero all’uomo di adattarsi a un ambiente diverso da quello terrestre.

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Fili di seta modificati geneticamente

Fra le invenzioni più recenti ci sono invece un composto di chitosano realizzato con frammenti di conchiglie modificate chimicamente per ricavarne proprietà diverse e che viene stampato da un robot dando vita a una pasta utilizzabile per applicazioni diverse, come ad esempio gli infissi. Sempre in ambito edile si inserisce l’innovazione biomimetica realizzata a partire dai fili di seta prodotti da bachi, che vengono poi modificati geneticamente e lavorati da un braccio robotico, ottenendo un materiale plasmabile ed eco-sostenibile con cui realizzare strutture o elementi costruttivi.

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Biomimetica in architettura: l’edificio che funziona come un termitaio

Anche la progettazione architettonica ha più volte tratto spunto dalla natura. Uno degli esempi più noti è sicuramente l’Eastgate Building, un centro polifunzionale realizzato dall’architetto sudafricano Mick Pearce in collaborazione con lo studio ingegneristico Arup ad Harare, capitale dello Zimbabwe. In questo caso l’ispirazione è arrivata osservando il funzionamento dei termitai. I termitai sono strutture piuttosto complesse fatte di cumuli di terra realizzati dagli insetti stessi al fine di mantenerne l’interno a una temperatura fresca e costante, indispensabile per farvi crescere il fungo di cui si nutrono. Le basse temperature sono garantite da una serie di canali scavati nel sottosuolo che creano un ambiente ventilato.

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Pearce è riuscito a riprodurre questo sistema nell’edificio che ha progettato, dotandolo di una serie di camini laterali e di un tunnel centrale che consentono di ventilare in modo naturale gli ambienti evitando l’utilizzo di impianti di climatizzazione.