Incendio nella pineta di Ostia. Benvenuti all’inferno
Era l’estate del 2000. Totti aveva da poco fatto il cucchiaio all’Olanda, ma nonostante quello – per quanto a Roma quel gesto lasciò molta euforia nell’aria – l’Italia operaia, ma anche brutta, sporca e cattiva di Zoff si arrese in finale alla Francia grazie al (per colpa del?) Golden Gol. La più brutta e assurda invenzione mai portata su un campo di calcio. Era l’estate delle prime promozioni estive per i telefoni cellulari e delle ultime edizioni del Festivalbar. Per capirci tutto sembrava immobile e invece si stava muovendo velocissimo. Era l’estate della mia maturità e del primo, grande e infernale incendio nella pineta di Ostia. Quello che distrusse in gran parte uno dei più grandi simboli della macchia mediterranea italiana.
Incendio nella pineta di Ostia, 17 anni fa.
Era il 1 luglio e in linea d’aria casa dei miei genitori distava sette, al massimo otto chilometri dal fulcro dell’incendio. Mi ricordo, mentre cercavo di ripassare per l’orale della maturità che a un tratto cambiò il vento e in pochi minuti il fumo arrivò fin dentro casa. La nebbia alle 13. Era un disastro. Ed era il mio primo contatto con un disastro. Io che non avevo conosciuto, se non sui libri e in televisione, gli anni di piombo, i terremoti e il terrorismo. E quello che avevo vissuto, vedi Falcone e Borsellino, non mi aveva ferito. Ero troppo piccolo io o forse era la TV a essere un medium ancora poco invasivo. Insomma era la prima estate del nuovo millennio e l’inferno era a pochi chilometri da casa mia. Un disastro ambientale sproporzionato.
Fumo, paura e animali morti
Ricordo che il giorno dell’orale, anche durante le interrogazioni, l’incendio nella pineta di Ostia restava un argomento di discussione. Anzi l’argomento. Una volta finito, chiamai casa per dire che era andato tutto bene, e poi con tre amici prendemmo una macchina e andammo a fare un giro dentro la pineta. Un paesaggio lunare, il fumo che dopo diversi giorni ancora si alzava da terra. Animali morti, tanti, per terra. Carbonizzati che non erano riusciti a mettersi in salvo. Una guardia forestale ci urlò contro. Scappammo.
La storia che si ripete
Sono passate quasi due decadi e la storia, si è ripetuta. Lunedì 23 luglio, lo scorso lunedì 23 luglio, è accaduto di nuovo. Scendendo dal centro, verso il mare è possibile osservare una nuvola di fumo che si alza. Un blocco monolitico grigio che non lascia troppo spazio alla fantasia. Lì dentro c’è morte e distruzione. Fiamme e temperature infernali. Canadair, elicotteri, vigili del fuoco e protezione civile all’opera. E poi l’odore. Non sono le immagini a rimanere impresse nella memoria. È l’odore del fuoco vivo, della cenere che vola e del fumo. Se il vento cambia direzione puoi sentire anche qualche folata di mare mischiarsi con l’odore acre dell’incendio. Se chiudi gli occhi e non vedi quello che hai davanti sembra quasi di stare in campeggio. Dentro una pineta a due passi dal mare. Stasera si mangia la ciccia abbrustolita. Pensa soltanto a divertirti. E invece no. Non è così. Riapri gli occhi e sei dentro l’inferno, e ancora una volta e nessuno sta facendo abbastanza per salvare un pezzo di storia. Un pezzo di Roma.
Abbiamo raggiunto Valeria Costantini, una reporter del Corriere della Sera che ha seguito gli sviluppi di questo incendio sin dal primo momento. A lei abbiamo rivolto alcune domande per meglio capire la situazione attuale e quella a cui si sta andando incontro.
Il pensiero è andato subito al luglio del 2000, quando un mega incendio distrusse buon parte della Pineta. Ci sono delle analogie tra i due incendi?
Stesso periodo dell’anno, era un caldo e secco luglio, ma l’analogia principale purtroppo è che sia bruciata la stessa area di diciassette anni fa. Proprio dove il sottobosco era appena tornato a rivivere. All’epoca però la situazione fu più drammatica, decine di intossicati, feriti, auto e attività distrutte dalle fiamme.
Correggimi se sbaglio… ma proprio per prevenire speculazioni i terreni su cui sorge la pineta non sono edificabili. Perché allora un gesto simile?
Ci sono infatti una serie di pesanti vincoli ambientali sulla pineta, eppure campeggi e ristoranti sono sorti ugualmente, per poi magari finire sotto inchiesta. Chi indaga non esclude che dietro i roghi possano esserci in gioco i futuri bandi per antincendio e bonifiche del verde.
È stata già fatta una stima dei danni economici e ambientali?
Ufficialmente ancora no, ma chi protegge Castel Fusano da anni ipotizza che il rogo abbia coinvolto circa un centinaio di ettari. I danni maggiori sono per l’ecosistema floro-faunistico, tane e luoghi di nidificazione sono stati devastati.
Che accade ora? Che tempi per la ricostruzione?
Servirà una bonifica dei terreni, almeno parziale, come la rimozione di alberi pericolanti o magari cumuli di rifiuti. Poi magari speriamo in progetti seri di tutela e valorizzazione di questo straordinario patrimonio verde. Dopo l’incendio del 2000, se ricordo bene, l’allora sindaco Rutelli promise la ri-piantumazione di mille alberi. Credo ne siano stati piantati nemmeno cento…
L’immagine di copertina appartiene al sito lamiaostia.com
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