La Call for Action della prima Conferenza Mondiale sugli Oceani
Si è tenuta a New York tra il 5 e il 9 giugno la prima Conferenza Mondiale sugli Oceani organizzata dall’Onu: obiettivo della cinque giorni di lavoro congiunto tra ong, comunità scientifica, società civile, istituzioni accademiche e settore privato è stato quello di risollevare gli oceani dalla situazione drammatica in cui versano. Le minacce che affliggono gli oceani e i mari sono moltissime, si va infatti dall’inquinamento chimico alla pratiche di pesca illegali e distruttive, dai cambiamenti climatici alle aggressioni alle coste ed agli ecosistemi marini, fino alla presenza a livelli inverosimili di rifiuti in mare. Da qui dunque la necessità, fin troppo posticipata, di organizzare una Conferenza Mondiale sugli Oceani in grado di ridare dignità al quel 71% della superficie terrestre ricoperto dall’acqua marina, distese blu dalle quali dipendono il clima terrestre, la qualità dell’aria che respiriamo tutti i giorni e la disponibilità di risorse idriche ed alimentari.
Peter Thomson: non ci sono più scuse
Alla Conferenza Mondiale sugli Oceani hanno partecipato tutti i 193 Stati dell’Onu. Come dichiarato dal Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite Peter Thomson,
«la Conferenza Mondiale sugli Oceani ha cambiato la nostra relazione con gli oceani, in quanto da adesso in poi nessuno potrà più permettersi di affermare di essere all’oscuro di quanto il genere umano sta facendo alla salute degli oceani. D’ora in poi ci impegneremo a fondo a livello globale per restaurare una relazione bilanciata e rispettosa nei confronti degli oceani».
La Conferenza Mondiale sugli Oceani contro plastiche e microplastiche
Consapevoli del fatto che la salute delle generazioni presenti e future sarà determinata in modo concreto proprio dalle condizioni dei mari e degli oceani, i partecipanti alla Conferenza Mondiale sugli Oceani hanno contribuito alla stesura e alla presa in carico del documento Call for Action, costituito da una serie di impegni nei confronti dei mari mondiali. In linea generale, i Paesi partecipanti si sono impegnati a mettere in campo delle robuste strategie a lungo termine per ridurre l’utilizzo delle plastiche e delle microplastiche. Come ha infatti ricordato durante i primi giorni della Conferenza Mondiale sugli Oceani il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, nelle acque mondiali galleggiano circa 150 milioni di tonnellate di plastica. E non si parla solamente di bottiglie di plastica e di sacchetti, ma anche di inquinanti invisibili ad occhio nudo che non riescono ad essere filtati dagli impianti di depurazione delle acque, e che finiscono inesorabilmente nelle acque marine. Un esempio? È stato calcolato che per ogni singola doccia possono andare a finire negli oceani circa 100mila microsfere di plastica, andando così ad accrescere la massa di sostanze nocive presente nei mari. Le stime, del resto, parlano di 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici che finiscono negli oceani ogni singolo anno.
Gli impegni presi a New York
Ma alla Conferenza Mondiale sugli Oceani non si è parlato solo delle plastiche: gli esponenti della società politica e civile mondiale hanno preso degli impegni anche per quanto riguarda la crescente acidificazione delle acque marine, l’innalzamento del livello dei mari e il continuo aumento delle temperature marine. Al termine della conferenza, si è arrivati ad aggiungere un 4,4% di aree marine protette e a quel 10% di superficie oceanica che già adesso ci siamo impegnati a proteggere entro il 2020. Molti Paesi che ancora non hanno fatto questo passo importante si sono poi impegnati a ridurre oppure ad eliminare completamente l’uso delle borse di plastica usa e getta, mentre altre realtà si sono impegnate nel diminuire concretamente l’inquinamento delle acque dovuto alle attività produttive. Anche per quanto riguarda l’attività di pesca, poi, sono stati fatti dei passi avanti, con l’annuncio della creazione di svariate nuove aree con il divieto di pesca per determinate specie a rischio.
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