Da Trump a Macron, infuria la battaglia per la ricerca sul cambiamento climatico
Le due sponde dell’Atlantico da una parte, e in mezzo una tormenta. Due volti nuovi che si sono affacciati sulla scena politica mondiale: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il neo-eletto capo di Stato francese Emmanuel Macron. La tormenta di cui parliamo è la ricerca sul cambiamento climatico: Trump e Macron rappresentano visioni diverse su un tema entrato ormai da anni stabilmente nel dibattito politico.
Da Parigi a Washington
Nella città di Parigi, al ballottaggio che lo ha visto opposto alla candidata del Front National Marine Le Pen, Macron ha ottenuto il 90% dei voti. E proprio a Parigi furono siglati, tre anni fa, una serie di accordi che impegnano quasi tutte le nazioni del mondo ad adottare misure urgenti per ridurre le emissioni inquinanti. A fine marzo, tuttavia, Trump ha emesso un ordine esecutivo che di quegli accordi tiene ben poco conto.
Il documento si chiama Enegy Indipendence e di fatto smantella il Clean Power Plan, il programma strategico messo a punto dal predecessore di Trump, Barack Obama. Il piano prevedeva investimenti per miliardi di dollari che avrebbero dovuto favorire il superamento delle energie responsabili dell’emissione di gas serra: in particolar modo il carbone. Al loro posto il programma obamiano era orientato per lo sviluppo del fotovoltaico e dell’eolico. Con il suo ordine esecutivo, Trump ha innescato una marcia indietro che riconduce proprio al carbone: nelle sue intenzioni una scelta che dovrebbe creare nuovi posti di lavoro.
Ma i nuovi indirizzi strategici dell’amministrazione Trump hanno suscitato immediate reazioni. Proteste e manifestazioni si sono succedute negli Stati Uniti. Il trenta aprile scorso un gruppo di circa 15 mila persone si è data appuntamento sul pratone della Casa Bianca, a Washington, per contestare le decisioni di Trump, soprattutto in chiave ambientale. Sono comparsi cartelli che recitavano “Il pianeta viene prima del profitto”, oppure “Immagina un mondo libero dal cambiamento climatico”. Il presidente americano, tuttavia, prosegue per la sua strada. In campagna elettorale Trump non aveva esitato a definire “una bufala” il cambiamento climatico, ed è possibile che nei prossimi mesi l’amministrazione da lui guidata prenda in considerazione il ritiro dagli accordi di Parigi. Anche per questo, il movimento ecologista americano è in grande fermento.
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L’appello di Macron agli scienziati americani
Di tutt’altro tenore le premesse da cui si muove Emmanuel Macron. Il neo inquilino dell’Eliseo, difatti, già in campagna elettorale – era febbraio – ha postato su Facebook e Twitter un messaggio che invitava scienziati e ingegneri americani impegnati sul terreno del cambiamento climatico a lavorare in Francia. “Vogliamo le persone che lavorano sul cambiamento climatico, l’energia, le fonti rinnovabili e le nuove tecnologie. La Francia è la vostra nazione“. Una carta giocata sul tavolo della ricerca, un settore in cui la concorrenza tra nazioni è sempre aspra: Macron ha individuato nelle politiche di Trump una possibilità di malessere da parte degli scienziati americani, e cercherà di convincerli a sposare il suo progetto.
Il ruolo delle multinazionali
Ma sul tema della ricerca sul cambiamento climatico non ci sono solo gli Stati. Anche le grandi potenze economiche – aziende da fatturati stellari e multinazionali – sono intervenute nel dibattito. In un documento sottoscritto dai manager e dagli amministratori delegati di alcune delle imprese più potenti del pianeta (aziende da quasi 5 trilioni di dollari di asset, tra cui Unilever, Solvay, Philips, Schneider), la richiesta è di procedere sulla strada degli accordi di Parigi, riducendo l’impatto delle emissioni inquinanti, e tenendo il riscaldamento globale “ben al di sotto di due gradi”, il tetto/soglia stabilito dagli scienziati.
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Se le emissioni di CO2 non saranno ridotte, del resto, esiste la la possibilità che entro il 2100 la temperatura possa salire di 2,6 gradi entro il 2100 e 3 gradi e mezzo dopo il 2200. I manager di queste aziende – che rilasciano, se assommate tutte assieme, circa 458 milioni di tonnellate di CO2, l’equivalente per quantità a quelle emesse dalla quindicesima nazione in ordine di grandezza – promettono di rivelare l’impatto del cambiamento climatico sulle loro attività, impegnandosi a sostenere la crescita di un’economia a bassa emissione di carbonio.
Ricerca sul cambiamento climatico: il presidente francese manterrà le promesse?
Insomma, un delicatissimo puzzle su cui si muovono attori di varia grandezza e su cui si gioca il futuro del pianeta. Vedremo quello che accadrà sulle due sponde dell’Atlantico: la prima risposta dei ricercatori americani a Macron è stata piuttosto tiepida. Michael Halpern, vice direttore del centro per la Scienza e la Democrazia di Washington, ha spiegato con un certo pragmatismo che non è facile orientare un satellite Nasa sulla Francia. O, ancora, c’è da notare che la spesa francese nella ricerca è ferma al 2,23% del prodotto interno lordo, mentre negli Stati Uniti è al 2,79%.
La promessa del presidente eletto, durante la campagna elettorale, era stata di aumentare i finanziamenti destinati alla scienza, anche in ricerca sul cambiamento climatico. I prossimi anni, al netto dell’eventuale (e improbabile) esodo di scienziati dagli Stati Uniti all’Europa, diranno se gli impegni assunti da Emmanuel Macron avranno un seguito concreto.
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