Il bruco e lo smaltimento naturale della plastica: una storia verde
La ricerca, nei pesi dove è possibile farla, avanza spedita quotidianamente verso nuove scoperte. Si pensa, si prova, spesso si fallisce, ma talvolta arriva anche il successo. Come in questa storia che narra le vicende di due ricercatori italiani che hanno scoperto qualcosa di straordinario in un Paese, non il nostro… o il loro se preferite, che glielo ha consentito. Esisterebbe uno smaltimento naturale della plastica che più naturale non si può, esisterebbe un bruco capace di “sgranocchiare” sacchetti di plastica come fossero delle foglie. Questa potrebbe essere la chiave per affrontare l’inquinamento di plastica che, considerati i tempi di smaltimento, ci affliggerà per generazioni.
Il bruco affamato e lo smaltimento naturale della plastica
Secondo quanto avrebbero notato alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge il bruco di falena, che mangia la cera prodotta negli alveari, può anche mangiare e quindi “biodegradare” la plastica. Gli esperimenti dimostrerebbero come l’insetto possa rompere i legami chimici della plastica in un modo molto simile al processo messo in atto per digerire la cera d’api.
Bruchi o spazzini?
Ogni anno, circa 80 milioni di tonnellate di plastica in polietilene vengono prodotti in tutto il mondo. La plastica è usata per fare le borse della spesa e imballaggi alimentari, tra le altre cose, ma può richiedere centinaia di anni per decomporsi completamente. Invece i bruchi di falena il cui nome scientifico risponde a galleria mellonella possono eseguire diversi fori, in un sacchetto di plastica in meno di un’ora. E se non è uno smaltimento naturale della plastica questo, allora cosa?
Solo un punto di partenza
Il dottor Paolo Bombelli è un biochimico presso l’Università di Cambridge ed anche uno dei ricercatori dello studio che ha partecipato alla scoperta.
“Il bruco sarà soltanto il punto di partenza“, ha detto alla BBC News. “Abbiamo bisogno di capire i dettagli di questo processo e speriamo di poter fornire una soluzione tecnica per ridurre al minimo il problema dei rifiuti di plastica.”
Il dottor Bombelli non è il solo italiano ad aver partecipato alla scoperta. Con lui anche la dottoressa Federica Bertocchini del Consiglio Nazionale delle Ricerche spagnolo. I due hanno brevettato la scoperta.
Carpire e riprodurre il processo chimico
L’obiettivo è quello di carpire il processo chimico che c’è dietro lo smaltimento naturale della plastica. È facilmente intuibile che il bruco possa avere un ruolo non marginale in questa storia, ma ancor di più è importante isolare i microbi presenti nel bruco e che lo aiuterebbero a mangiare e digerire la plastica. Il loro isolamento potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione nella scomposizione e nello smaltimento della plastica.
Un bruco per salvare gli oceani
“Stiamo progettando di implementare questo risultato in modo tale che diventi più facile eliminare i rifiuti di plastica, dobbiamo lavorare per ottenere una soluzione per salvare i nostri oceani, i fiumi e tutto l’ambiente dalle conseguenze inevitabili che l’accumulo di plastica produrrebbe”, ha detto la dottoressa Bertocchini che ha anche dichiarato al quotidiano nazionale La Repubblica:
“Paolo ed io ci eravamo conosciuti quando facevamo ricerca allo University College di London, e abbiamo sempre avuto un interesse comune per la biodegradazione delle sostanze inquinanti, in particolare la plastica, dannosa per gli animali e al tempo stesso insostituibile in biomedicina, elettronica, industria alimentare. Così dopo il momento “Eureka!” davanti alla busta distrutta, gli ho chiesto di partecipare alla ricerca. Questi animali si cibano della cera d’api. E la cera è un ricco complesso di molecole diverse, che però contiene un legame analogo a quello che sostiene la robusta struttura molecolare del polietilene: una catena di atomi di carbonio che si ripete. Quindi, dal punto di vista evolutivo, ha senso che il baco riesca a nutrirsi di plastica. Per ora con i nostri esperimenti abbiamo capito che la degradazione della plastica non avviene solo per la semplice azione masticatoria – e quindi meccanica – del baco, ma proprio per un processo chimico. Abbiamo infatti spalmato sul polietilene un impasto di Galleria mellonella , notando che la degradazione ha luogo”.
È probabile quindi che il segreto della “digestione e dello smaltimento naturale della plastica” non sia nelle mandibole dell’insetto ma negli enzimi e nei microbi contenuti nell’apparato digestivo. Sarà questo il passo successivo da fare in questa affascinante ricerca.
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