Sacchetti di plastica, la lunga battaglia dell’Europa
I sacchetti di plastica piacciono sempre meno all’Europa. L’ultima nazione in ordine di tempo a vietare l’uso dei sacchetti in polietilene è stata l’Estonia. Il Riigikogu, il parlamento estone, ha approvato la proposta del governo di limitare l’uso dei sacchetti di plastica in tutto il Paese. Con un mese di ritardo, anche la nazione baltica si è adeguata alla direttiva europea che prevede di limitare il consumo annuale pro capite di sacchetti in plastica monouso.
Nel 2014 l’Ue si era proposta una riduzione del 50% entro il 2017 dei famigerati sacchetti. Poi si è passati dal limite di 90 sacchetti procapite entro la fine del 2019, ai 40 per il 2025. Dal canto suo, l’Italia ha recepito la direttiva lo scorso novembre. L’esortazione della comunità europea indicava come termine ultimo per i governi il 27 novembre 2016. L’Estonia ci è arrivata solo all’inizio del 2017.
Il traguardo estone
Dal 1° gennaio 2019 i negozianti estoni dovranno mettere a disposizione dei cittadini dei sacchetti alternativi, da quello di carta a quelli in tela, passando per quelli compostabili. In questo modo potranno rispettare il secondo criterio cardine della direttiva, ossia quello per cui “entro il 31 dicembre 2018 le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia”. I cittadini estoni sono tra i maggiori consumatori di sacchetti di plastica in Europa. Ne consumano circa 514 all’anno. Ma non solo i soli. Anche gli abitanti di Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Slovenia e Portogallo hanno un consumo identico a quello estone.
L’Italia e i sacchetti di plastica
Dal canto suo l’Italia si è allineata per tempo alle direttive europee. Il 9 novembre 2016 il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, ha approvato in esame preliminare un decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015 (che ha modificato la direttiva imballaggi 94/62/CE), al fine di ridurre l’uso di borse di plastica leggere (sotto i 50 micron) e ultraleggere (sotto i 15 micron).
L’Italia è stata una dei primi paesi in Europa a vietare per legge i sacchetti di plastica monouso. Dal 2012 sono considerate fuori legge tutte le vecchie buste di plastica. Inoltre, l’obbligo di biodegradabilità è stato applicato ai sacchetti di spessore inferiore a 200 micron destinati al commercio alimentare e 100 micron ad altre merceologie. La norma riguarda solo i sacchetti e le buste di plastica “a perdere” e quindi non si applica alle borse e ai sacchetti che risultano essere riutilizzabili più di una volta.
Quindi, dal 2012 non si possono più utilizzare sacchetti in polietilene non biodegradabili e non compostabili, i nuovi “finti sacchetti ecologici” (oxodegradabili in polietilene) e i nuovi sacchetti in plastica riciclata perché non biodegradabili o compostabili. Sono ammessi sacchetti in mater-bi, in carta, in cotone, juta, tessuto, carta di riso, in prolipropilene, anche in plastica riciclata o in plastica polietilene con uno spessore superiore a 200 micron e quindi riutilizzabili.
La legge n. 116/2014 ha però eliminato il vincolo del decreto attuativo, pertanto, dal 21 agosto 2014 (cioè dall’entrata in vigore della citata legge), la commercializzazione dei sacchi non conformi a quanto prescritto è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 2.500,00 euro a 25.000,00 euro. Ora l’Europa chiama anche l’Italia ad essere ancora più stringente sull’utilizzo dei sacchetti in plastica, anche se inferiori ai 200 micron.
Sacchetti di plastica: le altre leggi europee
Nel resto d’Europa la lotta ai sacchetti di plastica si è fatta anno dopo anno più accesa. Ne è un esempio la tassa introdotta in Gran Bretagna, dove si consumano 176 sacchetti pro capite all’anno, per limitarne la vendita. In Danimarca (79 sacchetti di plastica pro capite l’anno) nel 2003 è stata introdotta una tassa sugli esercizi commerciali di vendita al dettaglio che forniscono ai clienti sacchetti in plastica monouso, provvedimento che di fatto non limita l’uso di tali shopper.
In Francia, dove si è combattuto anche per la limitazione delle stoviglie monouso in plastica e dove si consumano 88 sacchetti pro capite all’anno, nel 2016 è stata varata una legge che vieta la commercializzazione dei sacchetti monouso in plastica, inferiori ai 50 micron. Dal 2017 ne è stata bandita anche la produzione.
Tra i primi paesi europei a prendere provvedimenti contro i sacchetti di plastica c’è l’Irlanda. Qui il consumo pro capite è molto basso – 20 sacchetti all’anno – ma di questi ben 18 sono monouso. Dal 2002 Dublino ha introdotto una tassa di 15 centesimi di euro, riscossa dallo Stato direttamente sul consumatore, nel momento in cui acquista un sacchetto in plastica monouso in un negozio. Nel 2007 questa tassa è stata portata a 22 centesimi. Risultato: nel 2010 gli irlandesi hanno ridotto del 90% l’uso dei sacchetti in plastica monouso.
Vietare i sacchetti di plastica è davvero una soluzione?
Tuttavia, benché datato, uno studio dell’UK Environment Agency ha pubblicato uno studio il cui risultato va in tutt’altra direzione. Per ridurre l’inquinamento del pianeta e le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, le borse migliori da usare sono proprio quelle di plastica. Infatti, la ricerca ha dimostrato che i classici sacchetti in polietilene hanno un minor impatto ambientale rispetto agli altri tipi di sacchetti, a patto che si utilizzino più di una volta. Le sportine in cotone invece risultano a sorpresa essere quelle a più alto e grave impatto ambientale, soprattutto in relazione con il riscaldamento globale, a causa delle risorse necessarie – in termini di acqua e materie prime – per la loro creazione.
C’è anche da dire che secondo un’indagine di Goletta Verde – Legambiente, i rifiuti plastici che alimentano il fenomeno del marine litter sono costituiti per il 16% di buste di plastica. Seguono teli (10%), reti e lenze (4%), frammenti di polistirolo (3%), bottiglie (3%), tappi e coperchi (3%), stoviglie (2%), assorbenti igienici (2%) e cassette di polistirolo intere o frammentate (2%).
Come ha sostenuto Jacqueline McGlade, capo dei ricercatori dell’UNEP (agenzia dell’Onu per l’ambiente) in occasione dell’Assemblea Onu dell’Ambiente a Nairobi, la plastica biodegradabile – la soluzione verso cui anche i divieti per gli shopper in polietilene vanno – non è una reale soluzione al problema dei rifiuti plastici. Forse bisognerebbe ripartire dal riciclo – che solo nel 2015 ha originato 10 milioni di tonnelate di materie prime “seconde” – e da comportamenti individuali più virtuosi, che evitino la dispersione di plastica nell’ecosistema.
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