Negli Emirati si sperimenta il primo biofuel per aerei
Anche l’aviazione cerca la sostenibilità
Ci stiamo concentrando sempre di più, fortunatamente, sulla sostenibilità dei trasporti: il car sharing è in crescita, i veicoli elettrici si stanno ritagliando pian piano un posto nel mercato e il trasporto pubblico sta dando qualche segno di miglioramento, persino in Italia. Un problema di cui non si parla molto, però, è costituito da una forma di trasporto che è in continua crescita, ma che più difficilmente potrà essere convertita verso la sostenibilità: ci riferiamo ovviamente agli aerei. Certo, anche in questo campo sono stati fatti degli esperimenti che hanno dimostrato come le energie rinnovabili possano essere sfruttate con successo. Non molto tempo fa, infatti, abbiamo descritto l’incredibile impresa del Solar Impulse 2, l’aereo alimentato da pannelli fotovoltaici che è riuscito a compiere il giro del mondo. Ma guardando invece ai voli di linea, ai giganteschi Boeing, possiamo davvero affidarci a questo tipo di tecnologia? Sembrerebbe proprio di no. Ed è per questo motivo che, negli Emirati Arabi Uniti, si sta lavorando ad un biofuel per aerei.
Biofuel per aerei, in pieno deserto
Quella che potrebbe essere la prossima rivoluzione in campo energetico sta prendendo forma a trenta chilometri dall’abitato di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti. Qui, in una fattoria di oltre due ettari, il Masdar Institute sta lavorando al progetto Sustainable Bioenergy Research Consortium, teso a capire se sia possibile creare un biofuel per aerei che sia al medesimo tempo a basso impatto ambientale ed efficiente. Come spiega Hendrik Johannes Visser, a capo del progetto SBRC,
«al mondo d’oggi il trasporto aereo è necessario. Come sta crescendo l’industria dell’aviazione, sta però anche crescendo l’impronta del carbonio. Le compagnie aeree, i produttori di aeroplani e i giganti del petrolio stanno cercando delle vie per rendere l’aviazione sostenibile e rinnovabile».
Biocarburanti avanzati e sostenibili
L’idea di servirsi dei biocarburanti di prima generazione come biofuel per aerei è stata ben presto accantonata dai ricercatori. Per prima cosa, infatti, i biofuel derivati dal mais e dalla soia hanno raccolto moltissime polemiche per il fatto di dirottare delle coltivazioni fondamentali per il sostentamento umano verso l’industria dei trasporti. Oltre a questo, come ha spiegato Visser, la loro temperatura di congelamento non rende questi biocarburanti adatti all’utilizzo a 9.000 – 10.000 metri di altitudine. Quello che serve, dunque, è un biofuel sostenibile, molto avanzato e realizzato a partire da qualcosa che nulla abbia a che fare con l’alimentazione umana: la scelta dei ricercatori è dunque ricaduta sui biocarburanti di seconda e terza generazione, che utilizzano la lignocellulosa estratta da legname, residui forestali, vegetali e le alghe.
I biofuel per aerei sono l’unica soluzione possibile
Come ha spiegato Francisco Boshell, dell’Innovation and Technology Centre di Irena, i biocarburanti più avanzati possono ridurre le emissioni di gas serra tra il 60 e il 95% rispetto a quelle delle fonti fossili. «Mentre l’elettrificazione sta conquistando il mondo del trasporto su strada» ha sottolineato Boshell, «i biofuel per aerei ad oggi sono l’unica opzione possibile per l’aviazione per mitigare le emissioni nocive». Più si attende ad effettuare questa conversione, dunque, peggio sarà: nel complesso il trasporto aereo globale consuma 380 miliardi di litri di jet-fuel ogni anno.
La Salicornia
Per rispondere al bisogno sempre più pressante di biofuel per aerei, il progetto SBRC ha scelto di sfruttare una pianta che può crescere nel deserto con il solo apporto di acqua marina. Originaria del Golfo del Messico, la Salicornia bigelovii è una pianta che sopporta benissimo i climi più caldi, e che vanta dei semi costituiti al 30% da olio. Il biofuel che se ne produce può essere utilizzato per alimentare delle automobili e forse, in un vicino futuro, anche degli aerei.
Un progetto olistico
Quello che colpisce maggiormente del progetto SBRC è la sua visione olistica: l’intera iniziativa fa infatti parte di un progetto ancora più grande, il Seawater Energy and Agriculture System. Questa iniziativa ha lo scopo non solo di produrre i biofuel sostenibili di SBRC, ma anche di creare una pescicoltura nel bel mezzo del deserto. La stessa acqua salata in cui si possono far crescere dei pesci, infatti, può essere utilizzata per irrigare e fertilizzare le piante di Salicornia. L’acqua eccedente, invece, prima di tornare in mare deve essere ripulita dall’ammoniaca e dai nitrati residui: per questo motivo il progetto ha predisposto anche una ‘piantagione’ di mangrovie, in grado di pulire le acque e di resistere ai climi più torridi. E grazie proprio a questo ultimo tassello verde, il biofuel per aerei prodotto negli Emirati Arabi Uniti potrebbe essere davvero a emissioni zero di carbonio. Con un unico grande progetto, dunque, si potrebbero sconfiggere sia il problema della fame nelle zone meno fertili (pescicoltura) sia quello costituito dai carburanti altamente inquinanti (biofuel di seconda generazione). Ad oggi, comunque, il progetto è ancora in fasce. Come ha spiegato Visser,
«questo è solo l’inizio. Siamo intenzionati a perfezionare il tutto per ancora tre o cinque anni, per poi creare una struttura dimostrativa di 200 ettari, sempre nel deserto occidentale degli Emirati Arabi Uniti. Per ora continuiamo a testare l’esperimento, prima di tentare qualsiasi iniziativa commerciale, la quale potrebbe però arrivare tra dieci o quindici anni».
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