Case in bambù: sostenibili e anti-simiche
Leggero, flessibile, resistente, sostenibile. Le proprietà del bambù sono innumerevoli e non stupisce che, specie negli ultimi anni, sia stato rivalutato come materiale per le costruzioni. Disponibile in grandi quantità in natura, anche per via di una crescita molto veloce – nel giro di 3-5 anni dal taglio infatti raggiunge le altezze e gli spessori utili al nuovo taglio – il bambù è estremamente economico. Anche la grande leggerezza contribuisce a una drastica riduzione dei costi legati alla raccolta e al trasporto, a beneficio dell’intera filiera. Da un punto di vista di sostenibilità ambientale il bambù non soltanto è un prodotto naturale ma pare abbia la capacità di assorbire quantitativi di anidride carbonica maggiori rispetto ad altre specie di arbusti. Secondo gli ultimi dati dell’Inbar (International Network for Bamboo and Rattan) un ettaro di bambù sarebbe in grado di catturare 30 tonnellate di CO2 nell’arco di una decina di anni.
Ottime prestazioni antisismiche
Ma c’è una caratteristica che rende il materiale particolarmente interessante rispetto ai ‘competitor’, anche quelli green, che è la resistenza. Grazie alla flessibilità e alla sua struttura cava e tubolare che nel corso dei millenni si è evoluta per adattarsi e resistere al forte vento del suo habitat naturale, il bambù ha sviluppato delle ottime proprietà meccaniche. La sua robustezza, con delle prestazioni molto simili a quelle dell’acciaio (non a caso è stato ribattezzato l’acciaio vegetale), lo rende ideale come materiale antisismico. Ed è proprio questo il fronte in cui si sta investendo molto, anche per via di alcuni risultati incoraggianti riscontrati in alcune aree colpite da eventi sismici devastanti.
Il caso dell’Ecuador, dove non sono crollate solo le case in bambù
Il terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito l’Ecuador lo scorso aprile ha provocato oltre alle perdite in termini di vite umane, con 650 vittime e oltre 12000 feriti, anche il crollo di circa 7mila edifici. A differenza delle case e scuole realizzate in cemento armato che sono andate distrutte nella maggior parte dei casi, specie nelle cittadine vicino all’epicentro, le costruzioni in bambù hanno invece resistito. Non si tratta di abitazioni ‘di fortuna’ ma di costruzioni realizzate grazie a una collaborazione siglata tra l’ufficio regionale dell’America Latina e dei Caraibi (LAC) dell’Inbar e i funzionari dell’Ecuador che ha previsto l’inserimento del bambù nei codici costruttivi nazionali, al fine di regolamentarlo e incentivarlo.
”Il fatto che le strutture in bambù siano ancora in piedi dopo un terremoto di tale magnitudo – ha dichiarato Alvaro Cabrera dell’Inbar – dimostra ciò in cui abbiamo sempre creduto, ovvero che il bambù, se utilizzato correttamente, offre una soluzione più sicura, sostenibile ed economica rispetto al calcestruzzo”.
Nepal, la ricostruzione è in bambù
Un altro caso è quello del Nepal. A distanza di un anno e mezzo dal devastante terremoto (800.000 edifici distrutti e più di 8000 vittime) che ha colpito il Paese asiatico, la ricostruzione è ancora in atto perché sono centinaia di migliaia le persone rimaste senza un tetto. Ed è stato scelto il bambù come materiale da privilegiare, sia per i rifugi di emergenza sia per le abitazioni definitive. Sono davvero tanti i progetti coinvolti. Dai moduli temporanei progettati dallo studio Shigeru Ban Architects in collaborazione con l’organizzazione umanitaria Voluntary Architects Network (VAN), caratterizzati da una struttura in bambù a cui sono state aggiunte le macerie recuperate per il tamponamento delle strutture e tubi di cartone a sostegno del tetto. Al progetto di ricostruzione vera e propria, portato avanti sempre da Inbar e alcuni partner privati, che prevede la costruzione di moderni edifici in bambù che rispettino sia gli standard ISO sia criteri anti-sismici. Dopo il via ad alcuni edifici residenziali è arrivato anche l’ok a un piano per la realizzazione di 8.000 edifici scolastici nel corso dei prossimi tre anni.
Considerato il fatto che in Nepal si trovano 54 specie di bambù, che coprono circa 63mila ettari di territorio, la scelta è stata piuttosto ovvia e si prevede che possa anche favorire l’economia e l’occupazione locale nelle aree rurali.
E in Europa?
Sarebbe possibile pensare di adottare anche noi questi modelli architettonici? A onor del vero va detto che il bambù, a fronte dei vantaggi che finora abbiamo elencato, ha ancora diversi limiti. È un materiale che tende a contrarsi e ad espandersi al contatto con grandi quantitativi di acqua o in caso di forti sbalzi di temperatura, ed è anche molto suscettibile all’attacco di funghi e insetti. Ci sono chiaramente una serie di accortezze e di soluzioni per arginare questi problemi, che riguardano le modalità di taglio, le tecniche di essiccazione e alcuni trattamenti (quelli chimici però vanificherebbero le caratteristiche eco del materiale) ma c’è ancora molto da fare. In Europa mancano ancora standard e certificazioni che ne consentano un utilizzo su larga scala, anche se negli ultimi anni, grazie al boom del green building e anche all’interesse di alcuni noti architetti – dal tedesco Frei Otto allo statunitense Richard Buckminster Fuller, fino al nostro Renzo Piano – il bambù sta iniziando ad essere considerato come valida alternativa non solo di cemento acciaio ma anche del legno.
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