Deossigenazione degli oceani: il surriscaldamento soffocherà i mari
Ormai non c’è giorno che passi senza una dimostrazione scientifica di quanto i cambiamenti climatici stiano distruggendo il nostro Pianeta. Spesso gli studi si concentrano sui livelli di inquinamento o sulle calamità naturali provocate dal surriscaldamento globale, dimenticando alcuni habitat che si stanno pericolosamente modificando e addirittura estinguendo. È il caso degli oceani, che a causa dei cambiamenti climatici rischiano di soffocare nei prossimi 15 anni.
Oceani a rischio deossigenazione
A lanciare l’allarme è un nuovo studio intitolato “Finding forced trends in oceanic oxygen“, pubblicato su Global Biogeochemical Cycles da Matthew Long, del National Center for Atmospheric Research, Curtis Deutsch, della School of Oceanography dell’università di Washington, e Taka Ito, dell’Earth and Atmospheric Sciences del Georgia Institute of Technology. Secondo gli scienziati il riscaldamento globale sta provocando una deossigenazione delle acque, con conseguenze devastanti per la vita marina.
La vita marina rischia di soffocare
“La perdita di ossigeno nel mare – afferma Long- è uno dei gravi effetti collaterali del riscaldamento dell’ambiente ed è una grave minaccia per la vita marina. Dal momento che le concentrazioni di ossigeno nel mare variano naturalmente a seconda delle variazioni dei venti e della temperatura in superficie, è stato impegnativo attribuire la deossigenazione ai cambiamenti climatici. Ma con questo studio è stato possibile provarlo, riuscendo anche a indicare quando l’impatto del cambiamento climatico andrà a sopraffare il normale andamento naturale“.
Il fenomeno, spiega lo studioso statunitense, è già rintracciabile in alcune zone di mare, ma tra il 2030 e il 2040 sarà molto più diffuso.
Con il riscaldamento le acque superficiali assorbono meno ossigeno
Mentre alcuni animali, come delfini e balene, risalgono in superficie per respirare, diverso è per molti altri abitanti dell’acqua: pesci e granchi, ad esempio, utilizzano l’ossigeno che entra in acqua dall’atmosfera o che viene prodotto dal fitoplancton tramite fotosintesi. Tuttavia, con il riscaldamento le acque superficiali assorbono molto meno ossigeno. Inoltre l’ossigeno che viene assorbito difficilmente riesce a raggiungere la profondità degli oceani, perché l’acqua surriscaldata, espandendosi, diventa più leggera dell’acqua sottostante e quindi fatica ad andare a fondo. Cosa che invece non accadrebbe in presenza di acqua fredda e del normale alternarsi di correnti fredde e calde e del naturale variare della temperatura.
Insorgere di ‘zone morte’
Questo innaturale riscaldamento dell’acqua, mai soggetta a variazioni, sta agevolando, secondo gli studiosi, l’insorgere di ‘zone morte’ in mare, dove i pesci e le altre forme di vita marina non possono sopravvivere.
Nel 2030 livelli allarmanti di deossigenazione
Per analizzare l’impatto dei cambiamenti climatici sugli oceani, il team di ricercatori ha creato un modello di simulazione predittiva per il periodo 1920-2100 che ha rilevato tutte le variazioni di temperatura che si sono verificate nel tempo. I ricercatori sono riusciti anche a rendere visivamente la distinzione tra deossigenazione causata dai processi naturali e la deossigenazione causata dai cambiamenti climatici ed hanno così creato mappe dei livelli di ossigeno nel mare. Da queste mappe risulta evidente che la deossigenazione da cambiamento climatico supererà quella naturale nel 2030. E tra il 2030 e il 2040 la deossigenazione causata dal riscaldamento globale sarà rilevabile in vaste aree dell’Oceano Indiano meridionale, nei bacini dell’Atlantico e del Pacifico tropicale orientale, comprese le aree circostanti le Hawaii e al largo della costa occidentale degli Stati. In alcune parti dell’oceano, comprese le zone al largo delle coste orientali dell’Africa, dell’Australia e del Sud-Est asiatico, la deossigenazione causata dai cambiamenti climatici non sarebbe invece evidente nemmeno nel 2100.
Un problema colpevolmente sottovalutato
Le mappe potrebbero essere utili anche per decidere dove posizionare la strumentazione di monitoraggio dei livelli di ossigeno, al fine di comprendere meglio l’entità del problema.
“Abbiamo bisogno – ha dichiarato Long – di osservazioni complete e continue di quello che stiamo facendo in mare, per confrontarle con quello che stiamo imparando dai nostri modelli e per comprendere il pieno impatto del clima che cambia”.
Il dato di fatto è che fino a poco tempo fa gli studi di questo tipo hanno scarseggiato, vuoi per una sottovalutazione della problematica vuoi – come lascia ben intendere il documentario sui cambiamenti climatici di Leonardo Di Caprio uscito pochi giorni fa, per una colpevole irresponsabilità. Il punto di non ritorno sembra però essere arrivato.
L’unica soluzione è decarbonizzare la nostra economia
“Questo ultimo studio conferma che stiamo superando il limite della distruzione provocata dall’uomo – ha commentato i dati Michael Mann, climatologo presso la Penn State University. Le specie che vivono negli oceani e gli ecosistemi devono lottare con il riscaldamento delle acque, l’aumento dell’acidità e, ora è una certezza, con la deossigenazione. Ciascuna di queste sfide da sola sarebbe scoraggiante, figuriamoci tutte e tre insieme. Non abbiamo nessun motivo e nessuna scusa per non dare priorità ad una rapida decarbonizzazione della nostra economia“.
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