Trivelle, inquinamento e cozze cancerogene nei nostri piatti
Trivelle fuorilegge
Per la prima volta vengono resi pubblici i dati ministeriali relativi all’inquinamento causato dalle trivelle presenti nei mari italiani e la situazione si dimostra fin da subito molto grave: la presenza di queste piattaforme offshore nell’Adriatico determina un’altissima presenza di sostanze inquinanti e nocive, con un fortissimo impatto sull’ecosistema circostante. Come dichiara Greenpeace nel rapporto ‘Trivelle fuorilegge‘, tali sostanze chimiche «si ritrovano abitualmente nei sedimenti e nelle cozze che vivono in prossimità di piattaforme offshore presenti in Adriatico, spesso in concentrazioni che eccedono i parametri di legge». Si capisce dunque che l’inquinamento generato dalle trivelle dell’Eni approda direttamente anche sulle nostre tavole, attraverso le cozze pescate al largo della costa adriatica.
Quei dati nascosti
Il fatto scioccante, oltre al livello oggettivo dell’inquinamento, è che la contaminazione è
«ben oltre i limiti previsti dalla legge per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme (76% nel 2012, 73,5% nel 2013 e 79% nel 2014)».
E nonostante questo evidente e costante sforamento dei limiti legali le piattaforme continuano indisturbate la loro attività. Da parte sua il Ministero dell’Ambiente sembra voler nascondere o minimizzare la portata dei danni. Se per esempio Greenpeace ha domandato tramite istanza pubblica i dati di monitoraggio di tutte le piattaforme italiane, il Ministero ha voluto fornire unicamente quelli relativi ai 34 impianti dislocati tra la costa romagnola e quella abruzzese, e del solo triennio 2012-2014. Restano quindi del tutto sconosciuti i danni causati dal restante centinaio di trivelle presenti nei mari italiani. I casi, come dichiara Greenpeace, sono dunque due, entrambi inaccettabili:
«o il Ministero non dispone di informazioni in merito (e dunque questi impianti operano senza piani di monitoraggio), oppure lo stesso Ministero ha deciso di non consegnare a Greenpeace tutta la documentazione in suo possesso».
Si deve infatti sottolineare che i monitoraggi di cui abbiamo notizia sono stati realizzati dall’Ispra su committenza della proprietaria delle piattaforme in questione, ovvero dell’Eni.
Cozze al piombo e all’arsenico
Di fatto le trivelle continuano a oltrepassare i limiti imposti dalla legge italiana, senza però incappare in sanzioni o in divieti. La contaminazione dei nostri mari continua dunque senza ostacoli: ma quali sono le sostanze rilasciate nell’ecosistema? Principalmente si parla di idrocarburi policiclici aromatici e di metalli pesanti, quali mercurio, cadmio, arsenico e piombo. E, come si è accennato all’inizio, tutte queste sostanze nocive risalgono la catena alimentare fino ad arrivare all’uomo: come infatti ha sottolineato Greenpeace,
«da più di vent’anni le cozze presenti sulle piattaforme vengono regolarmente raccolte da alcune cooperative romagnole di pescatori e successivamente commercializzate» e «solo nel 2014 sarebbero stati immessi sul mercato italiano 7 mila quintali di cozze da piattaforma».
Il dato allarmante è che i monitoraggi dimostrano chiaramente che i campioni di cozze raccolte dall’Ispra intorno a 19 piattaforme contengono numerose sostanze cancerogene e nocive per il nostro organismo.
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